Il desiderio di connessione con gli altri è l’elemento prioritario in termini di gerarchia di obiettivi e bisogni umani a ogni età.
Gli esseri umani sono particolarmente consapevoli di questo innato bisogno di connessione in momenti di minaccia, rischio, dolore e incertezza. Nelle relazioni adulte la vulnerabilità condivisa crea legami, in quanto porta in primo piano i bisogni di attaccamento indirizzati a costruire un senso di vicinanza e conforto, e incoraggia quindi ad avvicinare gli altri (Johnson, 2019).
Sue Johnson, la principale esponente dello studio sull’attaccamento adulto, a tal proposito scrive:
«Dalla cura alla tomba, gli esseri umani sono predisposti a cercare non solo il contatto sociale, ma anche la vicinanza fisica ed emotiva con gli altri individui considerati insostituibili» (2019)
Il legame di attaccamento viene considerato la strategia di sopravvivenza essenziale più intrinseca per gli esseri umani; una connessione fisica ed emotiva prevedibile con una figura di riferimento (amico, partner,guida spirituale, psicoterapeuta) calma il sistema nervoso e lascia che la mente generi la rappresentazione di “rifugio sicuro”, dove conforto e rassicurazione possono essere rintracciati in modo affidabile e dove si raggiunge una regolazione emotiva.
«Questo equilibrio emotivo promuove lo sviluppo di un senso di sé solido, positivo e integrato come anche la capacità di organizzare l’esperienza interiore in un insieme coerente» (Johnson, 2019)
Ogni individuo è orientato alla ricerca di altri affidabili da cui ricevere cure e protezione, e da ciò deriva anche il senso di accettabilità del Sé. Quando viene minacciato o perso un legame di attaccamento sicuro sopraggiunge l’angoscia da separazione. L’isolamento emotivo e fisico dalle figure di attaccamento è incondizionatamente traumatizzante per gli esseri umani e ciò apporta un senso accresciuto non solo di vulnerabilità e pericolo, ma anche di impotenza (Mikulince Shaver, Pereg, 2003). Il senso di sicurezza e/o insicurezza generale dell’attaccamento non è un tratto caratteriale rigido; esso cambia attraverso nuove esperienze emotive correttive che consentono di rivisitare e rielaborare i modelli operativi cognitivi dell’attaccamento e le relative strategie di regolazione delle emozioni. È quindi possibile essere sicuri in una relazione e insicuri in un’altra.
Nelle relazioni amorose sicure i partner rispondono reciprocamente con empatia, allora alcune specifiche cellule nervose, chiamate neuroni specchio, site nella corteccia prefrontale del cervello si animano. Questi neuroni sono alla base del meccanismo che ci permette di sentire ciò di cui un’altra persona sta facendo esperienza.
Si tratta di un livello di comprensione diverso da quello che ci consente di comprendere l’esperienza di qualcun altro attraverso l’intelletto, i neuroni specchio infatti ci permettono di sentire quella stessa emozione come se fossimo noi a provarla e sono alla base dell’empatia e del coinvolgimento emotivo.
Un gran numero di studi recenti ha evidenziato le basi neurochimiche dell’attaccamento adulto: nei momenti di coinvolgimento emotivo i nostri cervelli sono pieni di ossitocina, soprannominato “l’ormone delle coccole”, crea una cascata di piacere, conforto e calma.
Kerstin Uvnas-Moberg, un neuroendocrinologo svedese, ha scoperto che soltanto il pensare a coloro che amiamo può innescare una scarica di ossitocina. Essa riduce inoltre il rilascio di cortisolo che è l’ormone dello stress (Johnosn, 2013). Studi ulteriori sull’ossitocina hanno mostrato come questa faciliti la sicurezza e la sincronia, permettendoci in tal modo di avere una sincronia emozionale, di eseguire una danza emozioale con gli altri, con i nostri figli, con i nostri compagni, con i nostri amici. Allo stesso tempo, l’ossitocina agisce per rilassare e ripristinare il corpo, agisce direttamente come antinfiammatorio, agisce per rimarginare le ferite, come componente di una strategia adattiva per affrontare lo stress, ci protegge dai fattori stressanti e ci permette di usare gli altri per sentirci al sicuro (Porges, 2020).
Attaccamenti adulti con figure di riferimento positive ci permettono di “guarire” alcune delle nostre profonde ferite. In quanto sicura, affidabile e caratterizzata da supporto, sostegno ed empatia, la relazione fra paziente e terapeuta è una relazione di cura ed è definita esperienza emotiva correttiva perché capace di non ripetere il pattern distruttivo di esperienze relazionali dannose precoci, bensì di offrire pattern relazionali più sani e funzionali.
«Il terapeuta è simile a ciò che il chimico chiama un catalizzatore, cioè l’elemento che fa precipitare una reazione, la quale altrimenti avrebbe potuto non verificarsi.» Pearls
La qualità della relazione terapeutica è fondamentale per il successo terapeutico, come sostenuto anche dalle ricerche a prova di evidenza scientifica e gli studi sull’efficacia e l’efficienza dei trattamenti personalizzati (Norcross, 2012).
Il rapporto paziente-terapeuta riflette, infatti, quella che dovrebbe essere l’essenza della relazione umana, fondata sulla comprensione e l’accettazione dell’altro, alimentando crescita e integrazione anche a livello cerebrale. Questi elementi nel corso di una terapia, o nel contesto di altre relazioni emotivamente coinvolgenti, possono facilitare ulteriori processi di sviluppo a livello della corteccia orbito-frontale e aumentare le capacità di regolazione delle emozioni (Lugaresi, 2008).
La relazione paziente-terapeuta permette di individuare strategie efficaci, scopi e obiettivi condivisi. Una relazione autentica, matura, che sostiene una comunicazione onesta, aiuta il paziente a sperimentare un contatto genuino con gli altri, stimolandolo a superare i suoi bisogni di fusione e di dipendenza (Fierman, 1997; Giusti, Lazzari, 2003).
In termini neurostrutturali, un modello relazionale salutare quale quello terapeutico può favorire la riparazione o la creazione ex novo di connessioni neurali, che non hanno avuto la possibilità di strutturarsi prima, integrando differenti aree e funzioni del cervello: memoria implicita ed esplicita, emisfero destro e sinistro, neocorteccia e sistema limbico (Giusti, Azzi, 2013).
In questi termini, la psicoterapia rappresenta un ambiente stimolante e arricchente che promuove lo sviluppo sociale ed emotivo e l’integrazione neurale offrendo la possibilità ai pazienti, di cambiare e di diventare non solo quello che era geneticamente predisposto a diventare ma, possibilmente, ancora più unico e specifico e questo grazie alla complessa interazione tra il suo patrimonio genetico e il patrimonio di esperienze relazionali e di vita.